Valtellina: cosa vedere tra miti e leggende - Oj Eventi

Valtellina: cosa vedere tra miti e leggende

Valtellina

La Valtellina rappresenta, da sempre, una terra di stupefacente bellezza

Un luogo unico al mondo, in cui la straordinaria armonia dei paesaggi, sembra influenzare e far da eco ad ogni aspetto della vita dei suoi abitanti. 

Quello che però pochi sanno, è che questo meraviglioso angolo di paradiso, è stato, inoltre, capace di configurarsi nel tempo, come foriero di segreti indicibili e cronache spiazzanti

Un luogo in cui la leggenda sconfina, si scontra e si incontra con una storia dai contorni spesso raccapriccianti

Tutto ciò, legittima, oggi, ad avanzare un quesito interessante e a dir poco sorprendente.    

Che sembianze hanno i confini del mondo

Ebbene, a questa domanda potremmo, forse, rispondere che molto probabilmente gli abiti del famoso confine, sono proprio quelli bianchi e armoniosi della Valtellina.

Ma in che senso? Per addentrarci profondamente nella comprensione di interrogativi simili, dobbiamo per forza partire dalla leggenda. Spesso messaggera di verità molto più vivide e concrete della storia stessa.

Cosa si può vedere in Valtellina?

Valtellina

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Il mondo ha i suoi confini. Quello con il mare, tracciato dalle famose Colonne D’Ercole, oltre le quali si apre l’ignoto dell’Oceano. Una zona popolata da creature mostruose e giganti perfidi. 

Un confine con il fuoco, il cui terribile ingresso trova sede nei crateri spaventosi dei vulcani

Spazi che definiscono il confine tra il regno dei vivi e gli Inferi. 

E un confine con il cielo. Dove? Proprio all’apice della maestosta vetta del Gran Zebrù, in alta Valtellina.    

Si tratta di uno di quei luoghi al mondo capaci di togliere il respiro! 

La superba vetta del Gran Zebrù si erge fiera, al di sopra dello spazio di confine tra Valfurva e Alto Adige.

Stiamo parlando di un monte unico, sulla terra. L’etimologia del suo stesso nome, rievoca lo slancio verso il cielo. Zebrù deriverebbe infatti da “super” cioè “sopra”, ad indicare la sua volontà di innalzarsi sopra ogni altra vetta esistente. 

Ma cosa ci dice esattamente la leggenda, in merito a questo magico angolo Altovaltellinese?

I segreti leggendari della Valtellina:  Zebrusius alias Gran Zebrù

Il mito racconta che il Gran Zebrù era, in realtà, una torre eretta su un castello. 

La vetta rappresentava proprio il punto di congiunzione tra il cielo e la terra

Una sorta di ponte tra il mondo dei vivi e quello dei morti, in cui orbitano le anime più nobili e belle. 

Spiriti che un tempo hanno arricchito la terra di gesta eroiche

Queste anime straordinarie continuerebbero a dimorare proprio sulla vetta del ponte Zebrù.

La leggenda racconta, inoltre, che il castellano di questo luogo è un nobile cavaliere, sfortunato in vita ma vittorioso negli inferi. 

Il suo nome mortale era Johannes Zebrusius, quello immortale è Gran Zebrù.

Zebrù è il re delle anime nobili. Per questo motivo la vetta Zebrù viene anche chiamata con il nome tedesco Königspitze, tradotto come cima del Re, appunto. 

Ma come avrebbe fatto Johannes Zebrusius a conquistare la gloria immortale? 

Il mito continua, dicendo che verso la metà del XII secolo, Johannes era feudatario della Gera d’Adda

Il cavaliere si innamorò di Armelinda, figlia del castellano del Lario

Ma come in tutte le sage mitiche che si rispettano, il padre della ragazza si oppose fermamente a questo amore. 

Il mito di Zebrù continua: dalla Valtellina alla TerraSanta

Il povero Johannes, afflitto dalla sofferenza, decise così di partire per la Crociata in TerraSanta

Ma perché intraprendere proprio una Crociata? Zebrusius era convinto che questo suo gesto eroico avrebbe spiazzato il signore  del Lario, finendo per convincerlo a concedergli la figlia in sposa.  

Johannes combattè con valore in TerraSanta, ma al suo ritorno non trovò certo l’epilogo che aveva tanto sognato.

Non solo il temibile castellano non era affatto convinto di concedere Armelinda a Zebrusius, ma perfino la fanciulla sembrava aver dimenticato il suo innamorato. 

Armelinda, infatti, aveva già sposato un altro castellano, signore del territorio milanese.

Quale fu la reazione di Johannes a tutto ciò? 

Il povero cavaliere si mise a vagare, solitario, nel tentativo di alleviare le proprie pene. 

Il suo vagabondare si arrestò finalmente sulle pendici della Val Zebrù

Questo luogo offriva finalmente a Johannes un dolce riparo, lontano dalle malvagità umane.  

Il cavaliere rimase a vivere nella valle per ben trent’anni. 

Morte di un cavaliere VS nascita di un monte:  il Gran Zebrù della Valtellina

Valtellina

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Poco prima di morire, Zebrusius decise di costruire un congegno di legno. 

Una raffinata stragegia per evitare che il suo corpo venisse divorato dalle bestie del Zebrù.

Quando sentì giunta la sua ultima ora, il cavaliere si lasciò andare sui tronchi del congegno: il peso del suo corpo lo mise in moto e fece calare su Zebrusius un grande masso bianco, su cui era scritto “Joan(nes) Zebru(sius) a.d. MCCVII.

Quella fu la sua tomba. Visibile ancora oggi dalla Baita del Pastore, in direzione del ghiacciaio della Miniera. L’anima di Johannes volò, invece, fino al vicino monte Zebrù. 

Le viscere del monte si spalancarono, accogliendo per sempre la nobile anima del paladino. 

Nei pressi di questi luoghi eletti, si estende un secondo palazzo, dove regnano armonia e pace

È il Cevedale, la dimora delle più nobili anime femminili, che vivono, beate, in un grande palazzo sotterraneo. 

Uno spazio magico, tappezzato da muschio e nascosto agli sguardi, grazie alla perenne coltre di neve e ghiacci. 

Queste anime, a volte, decidono di manifestarsi a quegli uomini dal cuore puro.

Questa la leggenda. 

La storia, però, ci restituisce una cronaca molto più dura e meno romantica, circa gli eventi che animarono questo tratto di Valtellina.

Dalle leggende alla storia: cosa accadde davvero sui monti della Valtellina

Ed ecco che la storiografia è subito pronta a calpestare la vena favolosa suggerita da luoghi simili. Innanzitutto pare che il nome Gran Zebrù derivi da una svista dei topografi.

Questi trascrissero in Königspitze la denominazione tirolese di “cunìgglspizze”, che, in realtà, non ha niente a che fare con “könig”, re, ma con “könich”, cioè con i cunicoli delle miniere scavate sul  versante altoatesino del monte. 

La vetta del monte fu la protagonista diretta delle lunghe ed estenuanti battaglie che presero piede in quest’area durante la Prima Guerra Mondiale (1815-1818). 

Il  conflitto vide contrapporsi l’esercito italiano con quello austro-ungarico.

Quest’ultimo controllava il crinale che, partendo dal Gran Zebrù e passando dalla cima di Solda, dal monte Cevedale, dal Palòn de la Mare e dal monte Vioz, arrivava alla punta S. Matteo.

Mentre le fortificazioni italiane si snodavano dalle cime dei Forni al Dosegù, passando dal Tresero e dalla punta Pedranzini.

Fu, però, proprio in questi luoghi che avvenne qualcosa di eccezionale. 

Una cronaca drammatica, i cui contorni sembrano sconfinare ancora una volta nella leggenda.

Una storia incredibile, raccontata egregiamente dal bergamasco Bruno Cedaro in “Storie di guide, alpinisti e cacciatori”.

Cinque eroi su un monte

Gli austriaci occuparono, in agguato, il passo dello Stelvio e lo Scorluzzo. 

Per tutta risposta, gli alpini italiani decisero di conquistare alcune zone di resistenza. 

Gli avamposti andavano dal Monte Cristallo alla Thurwieser. Tutte cime che si affacciavano sulla valle Zebrù.

A metà maggio del 1916, gli austriaci avevano occupato il Gran Zebrù, salendo dal semplice pendio ghiacciato del lato orientale.

Di fronte a questa mossa, gli italiani dovevano rispondere con un’occupazione dello stesso monte che fosse almeno equivalente.

C’era però un piccolo problema! Il lato occidentale del Gran Zebrù, era a dir poco inaccessibile! 

Il lato del crinale, infatti, si ergeva su una parete liscia e scoscesa, quasi impossibile da scalare.

Approfittando della poca visibilità dovuta alla pioggia, gli alpini fissarono una corda sui primi trecento metri. Poi aspettarono il momento favorevole. 

Per l’azione erano stati scelti cinque: il sergente Giuseppe Tuana e i caporali maggiori Stefano Schivalocchi, Giuseppe Canalini, Nino Dell’Andrino e Severino Grenil.

Quelle notti in Valtellina: una breve cronaca

Valtellina

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Così una sera di Giugno, i cinque valorosi inaugurarono l’impresa impossibile. L’obiettivo era scalare la liscia parete del monte, per oltre settecento metri. 

Solo così i nostri alpini sarebbero stati in grado di conquistare i nuovi avamposti di difesa.

Non dimentichiamo, però, un altro piccolo particolare!

La scalata impossibile stava avvenendo, ormai, a notte fonda. 

Era l’unico modo per i nostri, al fine di evitare di essere scovati dagli austro-ungarici. 

Potete immaginare, quindi, la doppia difficoltà di una scalata notturna, già impossibile in normali condizioni diurne.

Tutto doveva avvenire, inoltre, nel massimo silenzio. Cosa che ingigantiva di gran lunga le difficoltà.

Ma la grande padronanza dell’ambiente, permise loro di guadagnare rapidamente l’altezza e di risolvere gli imprevisti. 

Finalmente furono sulla cresta terminale, a meno di cento metri dal posto austriaco

Raggiunta la vetta, spararono sulle sentinelle austriache.

Era il segnale al nemico: adesso sul Gran Zebrù c’erano anche loro!

Durante quelle notti difficili, cercarono di cavarsela come meglio poterono. 

Riuscirono anche a costruire una piccola baracca. 

Un giorno, dalle postazioni nemiche incominciò un brutto bombardamento, concentrato sull’avamposto italiano

Ecco cosa succese ai cinque valorosi: uno fu ucciso, un paio feriti; ma í nemici non attaccarono oltre e così quel punto altissimo resistette fino alla vittoria!

Nella sua cronaca circa il racconto di quelle notti, Bruno Cedaro ci regala questo breve epilogo: 

Ora sapete perché il Nino e il Trombinin, quando si incontrano, si abbracciano e si baciano e si guardano con un compiacimento estatico: come per persuadersi, ancora dopo tanti anni, che sono proprio usciti vivi da quella gloriosa e disperata impresa“.   

E tu hai mai visitato la Valtellina? Ti è venuta voglia di scoprire questi luoghi leggendari, alle pendici della Val Zebrù? Faccelo sapere.

Articolo di Sebina Montagno

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