Giudizio Universale: dove fede e raziocinio convergono - Oj Eventi

Giudizio Universale: dove fede e raziocinio convergono

Giudizio Universale

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Giudizio Universale

Il Giudizio Universale è uno degli affreschi più famosi del mondo e si trova nella Cappella Sistina a Roma. A realizzarlo fu Michelangelo Buonarroti tra il 1534 e il 1541.
Considerata una delle più grandi opere d’arte dell’Occidente, il Giudizio Universale di Michelangelo rappresenta l’ultima venuta di Cristo per inaugurare il Regno dei Cieli.
Stai programmando un tour nella Capitale, ma non sai cosa vedere oltre al Colosseo ?
Questa meta è l’ideale per conoscere l’arte rinascimentale a Roma, che nel corso del tempo ha ospitato altri grandi artisti, quali Caravaggio, Bernini, Borromini. Oltretutto perché non fare tappa ai vicinissimi Musei Vaticani dove sono presenti dipinti di Raffaello e opere scultoree dello stesso periodo?
Il “Giudizio Universale” è un’ottimo spunto da cui partire, andiamo a vederlo più da vicino!

Michelangelo: virtù creative nate da fede tortuosa

Michelangelo nasce il 6 marzo del 1475 a Caprese, in provincia d’Arezzo. Fin dalla tenera età dimostra spiccata inclinazione per l’arte. Ciò lo porterà a entrare prima nella bottega del Ghirlandaio a Firenze a 12 anni e poi al Giardino di San Marco di Lorenzo de’ Medici a 16 anni.
Quest’ultimo luogo sarà importantissimo per la sua prima formazione. Entrando a contatto con l’ambiente artistico-intellettuale fiorentino, Michelangelo ha modo di mostrare le sue abilità. Nel 1498 è a Roma, ove stipula il suo primo importante contratto: avrà così modo di portare alla luce la sua celebre “Pietà”. Del 1504 è invece il David, con la sua storia divenuta iconica. Sempre nella Capitale, dal 1508 al 1512, si trova impegnato nella realizzazione della monumentale volta della Cappella Sistina.

Negli ultimi anni della vita, Michelangelo si fece più cupo. Iniziò a riempire i suoi quaderni con poesie e pensieri che ben mostrano il suo turbamento interiore. Proverà un profondo odio per le sue capacità artistiche. Arrivò a distruggere egli stesso molti suoi studi e lavori, non considerandoli più degni. Oltretutto questo periodo è caratterizzato da una profonda crisi religiosa, si crede in parte spinta dai sensi di colpa della sua presunta omosessualità in contrasto con la fede cristiana.
Tutto questo buio è riversato nella sua arte intervenendo più volte sul tema della “Pietà”, sviluppando diverse sculture, in una sorta di meditazione sulla morte. La sua ultima opera, la “Pietà Rondanini”, fu iniziata intorno al 1547 e gli fu molto cara, ci lavorò infatti fino all’anno della sua morte, avvenuta nel 1564.
Una testimonianza del nipote Cosimo vuole che fino al giorno prima della morte abbia continuato a scolpirla. L’opera è oggi esposta al Castello Sforzesco di Milano dal 1952.

Il Giudizio Universale: una prestigiosa commissione

Il Giudizio Universale fu commissionato da papa Clemente VII che però morì poco dopo aver conferito l’incarico all’artista. Il suo successore Paolo III confermò la commissione. Memori della relazione burrascosa con Giulio II, entrambi i pontefici gli lasciarono carta bianca per il progetto.
Per liberare Michelangelo dalle altre commissioni, Paolo III emanò un motu proprio, ossia una decisione ufficiale pubblica, cosicché Michelangelo lavorasse solo ed esclusivamente alla creazione del “Giudizio Universale”. I ponteggi per dipingere l’affresco furono pronti solo nel 1536.

Circa 30 anni dopo la realizzazione della volta, Michelangelo si ritrova nuovamente nella Basilica di San Pietro. Su sua richiesta fu affiancato da un unico aiutante, l’Urbino, fedele compagno che si occupò del blu di sfondo. L’artista era noto per fidarsi poco dell’opera degli allievi e preferiva completare personalmente il tutto. Michelangelo aveva ormai più di 60 anni e un solo obiettivo: creare qualcosa di ugualmente straordinario, eppure diverso dal suo altro capolavoro presente nella stessa stanza.
Il risultato fu superiore alle sue aspettative: realizzò una scena con più di 400 soggetti che ruotano attorno a un Cristo che premia o condanna le loro azioni.

Il tema del Giudizio: dalla tradizione all’innovazione

Per dipingere il “Giudizio Universale”, Michelangelo partì dallo studio di un’iconografia tradizionale dalla quale però voleva discostarsi il più possibile. La rappresentazione del Giudizio di Michelangelo è infatti molto più dinamica rispetto alle precedenti, di cui un fulgido esempio è quella di Giotto.
L’ascesa dei beati si sviluppa non linearmente e ordinatamente, ma forma un groviglio di corpi come in una violenta lotta. Lo stesso motivo è ripreso nella zona inferiore dell’opera, mostrando la zuffa dei dannati che vengono spediti all’Inferno.

Agli ordinati “Giudizi Universali” della tradizione, egli oppose una composizione estremamente più dinamica, basata su motivi concatenati o contrastanti, sia di singole figure che di gruppi. Ciò è evidenziato anche dalla decisione di eliminare le cornici e le partizioni che dominano il resto delle pareti, spalancando lo spazio dipinto verso una seconda realtà incommensurabilmente vasta.

La composizione dell’opera, tra fede e scisma

Sono oltre 400 le figure presenti nel magnifico affresco di Michelangelo: tutto parte da Cristo, raffigurato durante l’attimo che precede il Giudizio.
Tra le altre figure della composizione, si possono riconoscere svariati santi: San Pietro con le due chiavi del Paradiso, San Sebastiano con le frecce e San Bartolomeo.
Pare che verso quest’ultima figura Michelangelo abbia voluto lasciare un segno del proprio tormento personale, iniziato in quegli anni.
Si ritrae infatti nella pelle scuoiata di san Bartolomeo come simbolo di vanità.
Ai lati del dipinto troviamo invece gruppi di angeli e i demoni, in basso centrale vi è invece Caronte che accompagna i dannati davanti a Minosse. Questo particolare è un riferimento alla Divina Commedia dantesca, lettura cui spesso l’artista faceva riferimento nei suoi affreschi.

Lo stile e l’iconografia dell’opera fotografano perfettamente l’idea dell’antropocentrismo proprio del Rinascimento: il “Giudizio universale” segna la fine di un’epoca e l’adesione totale, anche a livello artistico, all’Umanesimo rinascimentale. Allo stesso tempo è altresì qualcos’altro, segnando un superamento dello stesso. Il suo carattere tortuoso e lo stile imponente ben descrivono le tensioni religiose che porteranno dì lì a breve alla Controriforma, sia a livello sociale, che artistico-culturale.

Quest’ultima tesi è avvalorata dal fatto che Michelangelo al tempo era preso da una forte crisi mistica ed era estremamente in confidenza con la marchesa di Pescara Vittoria Colonna, vicina agli avvenimenti della Riforma in Italia e alle idee dei valdesi francesi. Pare infatti che l’artista abbia nascosto varie allusioni alle correnti dissidenti nate in seno alla cristianità proprio nel suo “Giudizio Universale”.
Sarà proprio Paolo III, committente del pittore, a indire il famoso Concilio di Trento.

Daniele da Volterra: il caso del Braghettone

Dalla sua prima apparizione pubblica, avvenuta nella notte di Ognissanti del 1541, l’opera michelangiolesca ha ricevuto lodi e critiche controverse
Fu accusata di oscenità
e calunnie di ogni tipo, ma contemporaneamente elogiata per la bellezza e l’incantevole plasticità dei corpi. Sul da farsi intervenne il Concilio di Trento.
Il 21 gennaio 1564 la congrega del Concilio dispose la copertura dei nudi presenti nel Giudizio.
Questo compito che venne affidato a Daniele da Volterra che per l’occasione si guadagnò il soprannome di “Braghettone”.
Il suo intervento, iniziato poco dopo la morte di Michelangelo nel 1564, fu estremamente discreto, dato che il “Braghettone” provava grande ammirazione per l’arte del maestro.
Egli si limitò a rivestire con panni e foglie di fico le figure. Grazie al suo intervento censorio però il progetto di demolire quegli affreschi fu accantonato.

Unica eccezione su cui dovette pesantemente modificare le figure fu la coppia di San Biagio e Santa Caterina d’Alessandria. Queste figure erano oggetto delle critiche più scandalizzate poiché rappresentati in una posizione che poteva ricordare la copula.
Di essi Daniele rifece interamente, scalpellando via l’originale, le vesti e la testa del santo, non più girata subdola verso la santa dinanzi a lui, ma rivolta verso il Cristo giudicante. L’opera di censura venne poi continuata, dopo la morte del Volterra, da Girolamo da Fano e Domenico Carnevali.
Gli interventi moralizzatori non esaurirono comunque le critiche, né le minacce di distruzione del “Giudizio Universale”.
Infine, Giovanni Paolo II disse, per porre una pietra sopra le annose polemiche sui nudi rappresentati, che il Giudizio è “il santuario della teologia del corpo umano”.

E a te interessa l’arte di Michelangelo? Andrai a vedere il Giudizio Universale? Diccelo nella sezione  commenti e condividi l’articolo sui social!

Articolo di Gianguido Tridente

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